lunedì 9 aprile 2012


IL PERSECUTORE DELLE IMMAGINI

La produzione sacra, mai sfiorata da crisi economiche o dalla concorrenza se non tra religioni, pervarsa nella proliferazione di simboli, plasmandoli nelle diverse epoche con vesti sempre più accattivanti e kitsch.
In questo solco consumistico della merce si intreccia l’arte dissacratoria, ironica, volutamente kitsch e pop di Andrea Antikorpo Lanzi, praticata nella continua indagine tra verità e menzogna, tra religione e fede, tra finzione e realtà, tra sacro e profano.
Se in molte confessioni non cattoliche vengono bandite le immagini di santi o del Cristo persino crocifisso, e conseguentemente le reliquie, nella religione cattolica, invece, esse diventano oggetto di adorazione feticista, immagini e oggetti da venerare in cui si annulla qualsiasi necessità di veridicità.
A ironizzare questo atteggiamento, Lanzi si fa persecutore dei simboli del sacro attraverso la creazione di oggetti ricchi e preziosi, che simulano l’atto di una presunta venerazione.
L’invenzione creativa, assecondata dall’altissima manualità dell’artista, fornisce così, una produzione di apparati reliquiari, quali teche calici e bocce, contenenti cervella, crani e ossa di animale sottospirito, o mosaici illuminati, costruiti da particole la cui sovrapposizione inscrive in latino l’aurea massima e vera: “La verità genera odio”.
In questa pratica artistica feticista, pseudo culturale, Lanzi celebra la mancanza dell’oggetto autentico e di rito, ne esalta l’oppulente ricchezza e, infine, ne smaschera la pericolosa ideologia religiosa dominante, che è sempre sottesa anche ad ogni reliquia.
Nella continua persecuzione verso le immagini sacre, frutto del costante dominio delle coscienze praticato da qualsiasi religione, Lanzi definisce continuamente la sua poetica, ammettendo la necessaria compenetrazione degli elementi sadomasochisti della venerazione, e confinando nel dubbio la dicotomia tra religione e fede, tra bisogno spirituale interiore, provocato dalla sofferenza, e godimento ed estasi della pratica religiosa devozionale.
Fede e religione si accampano così in sfida.
Il dominio religioso sulle coscienze da plasmare si annulla, per denunciare indirettamente che la certezza della morte si identifica con l’autentica certezza del vivere.
In questo annientamento ideologico e religioso, l’artista può sottrarsi a qualsiasi accusa di blasfemia e anticlericalismo, fino a lasciare al fruitore il dubbio o la libertà di pensiero nei confronti della verità/falsità, del consumo religioso e della fede, della vita/morte, della guerra religiosa e della pace laica.
In tal senso, la paura della morte, punto fondativo di ogni religione, si smaschera come indottrinamento religioso, ma anche come completamento necessario alla vita.

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